Tutto per mio fratello


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Il film è tratto dalla commedia in 3 atti Vì che m’ha fatto frateme di Eduardo Scarpetta. La storia riprende il classico tema dello scambio di persona tra due fratelli gemelli. Felice, interpretato da Vincenzo Scarpetta, sta per sposarsi ma deve abbandonare la cerimonia per sostituirsi al fratello gemello, il Caporale Fortunato, interpretato sempre dallo stesso Vincenzo Scarpetta. Quest’ultimo, per amore è fuggito dall’accampamento militare, lasciando in difficoltà lo zio Capitano. Felice, spogliatosi dell’abito da sposo e indossata la divisa, partecipa, suo malgrado, alla campagna contro il brigantaggio durante la quale uccide accidentalmente il capo dei briganti. Alla fine i due fratelli riprendono ognuno il proprio posto e il tutto si conclude con il solito lieto fine.

Produzione: Latium Film – Roma

Durata: 18’ 02’’

Note sul restauro eseguito a cura di Sergio Bruno
(Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia)

L’edizione restaurata di Tutto per mio fratello (1911) rappresenta un rarissimo documento di un film ritenuto ormai perduto che invece è stato fortunosamente ritrovato e quindi restituito alla visione del pubblico. Maria Vittoria Scarpetta (nipote di Vincenzo Scarpetta protagonista del film, e pronipote di Eduardo Scarpetta), riordinando l’archivio di suo fratello, l’attore Mario Scarpetta, prematuramente scomparso nel 2004, insieme a copioni teatrali, foto di scena e documenti vari, ha trovato una scatola di cartone che al suo interno conteneva una pellicola cinematografica. Portato il film alla Cineteca Nazionale, ci si è subito resi conto della sua importanza, ma soprattutto del pessimo stato in cui versava. In tutti questi anni, infatti, era stata conservata in condizioni non idonee a un film nitrato e pertanto, se non si fosse intervenuti tempestivamente con una operazione di restauro si sarebbe corso il rischio, nel giro di poco tempo, di perdere per sempre questo preziosa testimonianza filmata. La pellicola, purtroppo, presentava moltissime parti con la gelatina quasi del tutto asportata rendendo in diversi punti quasi indecifrabili le immagini, tanto che, ad esempio, alcune didascalie risultavano quasi del tutto illeggibili. Tuttavia, nonostante le pessime condizioni, il film era completo e conservava ancora le colorazioni originali. Per risolvere al meglio questo tipo di difetti e per ricostruire una versione del film il più possibile fedele all’originale, si è deciso di intervenire attraverso un restauro in digitale con ritorno poi su pellicola in 35mm. Il film è stato scansionato, fotogramma per fotogramma, ad alta risoluzione (2K) e lavorato in digitale con il software Revival. Le didascalie più danneggiate sono state ricostruite digitalmente cercando di ripristinare il font originario. Successivamente, dai file digitali restaurati si è ottenuto un nuovo negativo da cui è stato stampato un positivo su pellicola. Le colorazioni originali sono state riprodotte facendo ricorso ad un procedimento specifico per i film d’epoca chiamato “metodo Desmet” dal nome del suo inventore, il restauratore belga Noël Desmet. Il restauro è a cura della Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia. Tutte le lavorazioni sono state eseguite presso il laboratorio l’Immagine Ritrovata di Bologna.


Da Pulcinella a Sciosciammocca
Estratto da “Scarpetta e Sciosciammocca: nascita di un buffo” di Antonio Pizzo (Bulzoni, 2009)

Nel 1911, Scarpetta stava per ritirarsi dalle scene e lasciare la sua eredità artistica al figlio Vincenzo. In questo frangente avvenne il suo primo contatto con il cinema: Tutto per mio fratello, tratto da Vì che m’ha fatto fratemo. L’opera gli aveva già dato molte soddisfazioni al botteghino, ma non poteva reggere il confronto con i suoi capolavori. Si tratta certo di una delle meno originali. Tre dei manoscritti attribuiscono esplicitamente la paternità dell’opera ad Eduardo Scarpetta, anche se quello proveniente dalle carte di Salvatore De Muto aggiunge, con altra penna, “dalla commedia in tre atti di Giacomo Marulli dal titolo: Pulcinella contadino e disertore”. Il testo deriva da una vicenda precedentemente sviluppata per Pulcinella. In una copia a stampa di quest’ultimo testo (1897) il proprietario (l’artista Gaetano Vellotti) ha segnato a penna (sotto il titolo e nell’elenco dei personaggi) che la commedia era anche con Felice al posto di Pulcinella. Ancora una volta, i documenti confermano che al criterio d’opposizione tra i due bisogna, per lo meno, affiancare quello di intercambiabilità.  Nel cartellone del teatro San Carlino compare un testo del Marulli (24 settembre 1876) ma con il titolo Pulcinella disertore e contadino ncojetato da lo Caporale Sciosciammocca da lo sergente Battilocchio e creduto uccisore d’un famigerato Fuorbandito. Cioè, in una versione che già inglobava, non possiamo sapere come, il buffo scarpettiano. A sua volta Marulli aver ripreso la vicenda da una commedia che Vittorio Viviani, nella sua Storia del teatro napoletano attribuisce a Filippo Cammarano dal titolo Una strana somiglianza tra Pulcinella contadino e suo fratello disertore.

Per la produzione cinematografica, la lista degli interpreti è ridotta. De personaggi presenti nella commedia, si riconoscono Don Pasquale, Giarretella, una servetta (forse Carmela), Felice, Fortunato, Don Ciccio Sindaco, due giovani invitati (forse Don Paolo e Don Vincenzo), una Signora invitata (forse Donna Candida), una giovane invitata (forse lavorante di don Pasquale), il Maggiore, zio Luigi, vari soldati, una ragazza che conosce Fortunato (forse Nannina), alcuni avventori di una locanda, i briganti e il capo brigante. Le azioni sulla pellicola si svolgono come di seguito. Dovendo provare a raccontare una storia con immagini e senza battute, Scarpetta innanzitutto sceglie quella in cui il trasformismo scenico dell’interprete poteva essere oggetto di un trucco eminentemente cinematografico (la doppia impressione della pellicola).  Dunque considera il cinema ancora nella sua forma di attrazione, più che di racconto. Rispetto alla narrazione del testo, più estesa, qui le azioni si riducono fino a coincidere con l’asciutta struttura del testo di Marulli. Nel cinema, almeno in questo momento, Scarpetta non vede le potenzialità di descrizione dell’ambiente borghese, con le sue manie e le sue inadeguatezze. A parte la gag del Sindaco tracagnotto che si conserva i pasticcini nel cilindro, l’inadeguatezza provinciale non è al centro della vicenda, e l’opera torna alla sua natura precedente con Sciosciammocca buffo assoluto, identico a Pulcinella. In sostanza possiamo dedurre che Scarpetta, privato del dialogo, non trovi altra soluzione che tornare all’azionalità di Pulcinella, e si ricorda della farsa di Cammarano nella quale affida al suo erede Vincenzo il compito di restituire al pubblico un Sciosciammocca pulcinellesco.

Questo piccolo documento conferma che la riforma scarpettiana non era inerente alla sostituzione del ruolo (qui intercambiabile) ma alla scrittura. E nella scrittura, la traduzione dal francese era un espediente economico, mentre l’innovazione era nella struttura della vicenda, nell’estensione delle battute. Si badi bene che per estensione delle battute non bisogna intendere la scrittura per esteso dei lazzi (per tradizione lasciati all’interprete) ma la determinazione di una fitta rete di relazioni testuali, narratologiche, strutturali, che imprigionano il carattere, definiscono il personaggio nella specifica vicenda, e costringono la comicità in un ritmo specifico. Dalla maniera assoluta (lo sciocco che interpreta scioccamente tutte le situazioni) si passa alla maniera relativa (il personaggio che appare sciocco in quanto si confronta con una condizione differente). Dunque i personaggi interpretati da Scarpetta sono tutti differenti gli uni dagli altri, accomunati semmai dall’interprete che ormai assomigliava solo a Sciosciammocca.