Non mancarono nella vita artistica di Eduardo Scarpetta le grandi polemiche sul suo modo di fare teatro e i critici avversari non perdevano occasione per punzecchiarlo. Due furono le più clamorose dispute che coinvolsero ed interessarono l’opinione pubblica: quella per il teatro d’arte che lo vide contrapposto ad autori come Bovio e Murolo, e quella per “Il figlio di Jorio” dove la parte di antagonista la ebbe Gabriele D’Annunzio. Se per la prima si può dire che una soluzione non fu mai trovata – chi o cosa può stabilire se un teatro comico possieda o meno una propria validità drammaturgia – la seconda si risolse per Eduardo Scarpetta in una vittoria-sconfitta. La vittoria si consumò in un’aula di tribunale dove Scarpetta fu trascinato dal vate con l’accusa di plagio. Egli infatti aveva preso spunto (chiedendo al D’Annunzio il debito permesso pienamente accordatogli) dal capolavoro dannunziano La figlia di Jorio per scrivere la parodia Il figlio di Jorio. La sera del debutto lo spettacolo fu interrotto dagli schiamazzi del pubblico di parte dannunziana e non fu più ripreso; dalla stampa, poi, Eduardo Scarpetta apprese che D’Annunzio gli aveva sporto querela per plagio e contraffazione, sostenuto anche da Marco Praga, fondatore della Società degli autori. Al processo i periti erano Giorgio Arcoleo e Benedetto Croce. E fu proprio quest’ultimo che perorò la causa (è il caso di dirlo) di Eduardo Scarpetta, facendolo assolvere per non avere commesso il fatto (foto 29). Anni dopo Maria, la figlia di Eduardo Scarpetta, seppe in confidenza da Gabriellino D’Annunzio, figlio del poeta, che la vicenda fu incitata e sospinta da Marco Praga nella speranza di ottenere una sentenza di condanna con tutte le conseguenze morali ed economiche.
La vittoria oggettiva però non risparmiò a Eduardo Scarpetta una sconfitta intima: egli comprese che dopo cinquant’anni di teatro le esigenze ed i gusti del pubblico erano nuovamente cambiati e che un’epoca era ormai al tramonto. La sentenza di assoluzione disse infatti che si era trattata di una parodia, riuscita male, ma pur sempre parodia. Scrisse un ultimo capolavoro ‘O miedeco d’é pazze, partecipò a qualche altro spettacolo della compagnia del figlio Vincenzo, collaborò con Rocco Galdieri alla scrittura delle prime riviste d’avanspettacolo e si spense, all’età di settantadue anni, il 23 novembre del 1925 (foto 30 e 31 poi 32).